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I like to travel routes unknown, not for snobbery or thirst for distinguish myself, but simply because i like to follow my thought and my instict in the wake of curiosity.


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“NON AVRAI ALTRO LEADER ALL’INFUORI DI TE STESSO” parte seconda.

“NON AVRAI ALTRO LEADER ALL’INFUORI DI TE STESSO” parte seconda.

“I began to understand that suffering and disappointments and melancholy are there not to vex us or cheapen us or deprive us of our dignity but to mature and transfigure us.”
(Hermann Hesse)

In queste giornate di nuovi inizi, di nuove strade che si aprono davanti a te, in cui aspettiamo segnali e spesso non arrivano o cerchiamo come strateghi di valutare attentamente le opzioni migliori con massima razionalità anche se poi sappiamo benissimo che l’istinto ha sempre la meglio (e difficilmente sbaglia!), in tutto questo nel cercare di scegliere il meglio ci sono sempre soliti dilemmi con cui mi scontro…ogni volta ritornano, nonostante le esperienze accumulate.

Sono domande e problemi ricorrenti che affronto ogni volta, momenti di malinconia che ti fanno pensare alle esperienze umane, relazionali e professionali affrontate, alle incomprensioni avute.

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Nick Brandt

Com’è possibile che ci siano ancora uomini e la società di oggi diffidenti sul fatto che una donna possa decidere di essere in carriera ed essere madre nello stesso tempo? E perchè la ricerca della perfezione ci rende inaccessibili agli altri?…
In questi giorni mentre sto leggendo l’ultimo libro della Trilogia di Ken Follet, dove grandi nomi, da Kennedy a Martin Luther King a Kruscev si scontrano-incontrano con le loro forti personalità mi vengono in mente anche i discorsi di Arianna Huffington e Umberto Galimberti, (quest’ultimo che seguo sempre con grande stima) e quello che spesso affermano a riguardo.
“Tendiamo a concepire la leadership esclusivamente come una forza esterna, che associamo a chi esercita con efficacia le responsabilità legate alla sua carica o dirige con sicurezza i suoi dipendenti. Ma questo è solo un tipo di leadership: ne esiste un altro, la leadership morale, che non dipende dallla carica, dalla posizione ricoperta, dalla gerarchia professionale.
Scaturisce invece da una forza interiore che ci spinge a tentare di trasformare in un luogo migliore il mondo intorno a noi, che si tratti della nostra famiglia, della nostra comunità o di un intero paese.

“Arriva un momento” diceva Martin Luther King nel 1968, “in cui una persona deve assumere una posizione che non è né prudente, né diplomatica, né popolare. Ma la coscienza le dice che è giusto così”. King non ha aspettato che una posizione di guida gli fosse concessa. Sarebbe stata una attesa molto lunga. La sua leadership si è sviluppata dall’autorità morale e dalla capacità di ispirare le persone. E’ stato l’emblema stesso della leadership interiore, e chi dubita che oggi ci sia un bisogno estremo di una leadership del genere?

Quando definiamo la leadership soltanto nel suo senso più ristretto, quello esteriore,  la concepiamo come qualcosa che ha a che vedere soltanto con i politici eletti e con le élite dirigenziali  sottovalutiamo le qualità interiori o le consideriamo debolezze.
Affinchè le donne riescano a esercitare la leadership senza timori, devono abbracciare doti interiori.
No c’è dubbio che per arrivare in cima occorra possedere qualità eccezzionali.
Una donna, specie se in ascesa, è perseguitata dalle accuse di “ambizione”, “eccessiva intraprendenza” e “aggressività”. L’ostacolo più grande, però, non sono né i media, né i colleghi maschi (e nemmeno delle nostre colleghe femmine…anche se qualche volta lo sono!). A fare più danni ancora sono le paure che noi stesse nutriamo nei confronti del potere: il timore di esporsi agli attacchi, di alienearsi le persone, di diventare noi stesse caricature della capa odiosa, sgradevole e infernale.

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Nick Brandt

Ma la leadership autentica è qualcosa di troppo raro e prezioso per limitare il bacino da cui attingerla a metà della popolazione. Serve un nuovo modello di leadership che non si eserciti mediante la paura (ho avuto capi tiranni che con la tattica del terrore pensavano di tenere sotto scacco tutti i propri collaboratori e ora per fortuna hanno fatto la fine che fa un dittatore!)
ma piuttosto facendo emergere quelli che Lincoln definiva “i migliori angeli della nostra natura”.
Ed è evidente che le donne possiedono i requisiti ideali per questo: essere forti e decise, al tempo stesso mantenendo la capacità di educare, la saggezza e il rispetto necessari per dire la verità da una posizione autoriale, ispirando le persone mettendole nelle condizioni di agire.” A.H.

Ecco è questo che deve fare un vero team leader.

Poi allo stesso tempo però capisci che questa ricerca di leadership, che è per me semplicemente la tenacia di portare avanti con sana ambizone, valori sani le proprie aspirazioni, spesso ti porta ad essere una “diversa” e soli , e spesso a ricercare la perfezione, che però ci rende inaccessibili agli altri.

E così ci troviamo ad affrontare LA SOLITUDINE di CHI CHIEDE forse TROPPO A SE’ STESSO o semplicemente di CHI CREDE IN SE’ STESSO.

Ma come ha detto qualcuno “Soltanto i più forti fanno i conti con la solitudine, gli altri la riempiono con chiunque” Vjollca Lika


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IO e IL MIO LAVORO Parte Seconda: non avrai LEADER all’infuori di te stesso. “SOLITARIO COME UN SOSPIRO A CACCIA DI STELLE. . .”

” Passerà anche questa stazione senza far male ….”
Hotel Supramonte – Fabrizio De Andrè

Dove eravamo rimasti?

Sono passati alcuni mesi da quando scrissi la prima parte di questo editoriale, un racconto sul mio percorso professionale e umano, dove le ultime righe erano un nuovo inizio, dove finalmente ero felice di avere incontrato un leader da cui imparare qualità morali. Così purtroppo non è stato e ho avuto però il coraggio di rescindere un contratto prestigioso perchè non sentivo che il mio potenziale sarebbe stato apprezzato e avrebbe avuto un dignitoso rispetto, perchè sentivo che avrei tradito la mia natura.

Il tempo così si rivela sempre più foriero di forti cambiamenti ed i giorni che si portano addosso una serie sostanziosa di risvolti non contemplati, inibiscono la scrittura, la ingabbiano quasi a fissarla nell’ambra…ammantandola di elementi poco agili rispetto a ciò che si sente tra le pieghe della pelle quando tutto accade.

La Ballata dei SenzaTetto (5)Però mi son lasciata vivere a fondo, chiudendo capitoli, disseppellendo stati d’animo battaglieri, concentrandomi su punti che volevo fossero fermi e lasciando liberi quelli che pensavo fosse il caso far continuare a girare come energici dervisci.

Son stata chiara ed ho capito. Ho detto arrivederci, addio, benvenuti e “piacere il mio nome è Monica!” con stretta di mano decisa.

Allora capisci che l’unico leader a cui credere non sei altro che tu, fragile o impavido che tu sia non ti tradirà mai.

Mi son fidata con cautela, mi son data tempo ed ho compreso e ho sbagliato. Ho sbagliato a non fidarmi dell’unica cosa che in vita mia non mi ha mai tradito: i miei sogni e la mia creatività.

Capita di scoprirmi collezionista di istanti bellissimi ma sprovvista di supporti dove poterli conservare o depositare, perciò a malincuore capita di dover decidere di lasciarli andare. Ci sono emozioni che prendono a cazzotti le pareti dello stomaco e che spingono per trovare una sincera via di fuga anche dolorosa, se necessario.

La Ballata dei SenzaTetto (8)Le vittorie non sono i grandi successi. Non sono l’arrivo al traguardo del vincitore. Non sono la corona di alloro e l’applauso del pubblico. Non sono il gradino più alto del podio. Sono le vittorie che tu riporti giornalmente sulla solitudine, sulla povertà, sulla fame, sulla fatica, sulla sconfitta, sulla delusione, sull’ingiuria, sul disprezzo, sulla sofferenza. Sono la tua resistenza alle difficoltà. Sono il tuo coraggio nell’affrontarle.

Se ognuno si applicasse alla soluzione del problema della propria felicità sarebbero tutti felici.

Affidare la mia felicità solo ed esclusivamente ad un numero ristrettissimo di persone. La selezione di queste persone è alla base della sopravvivenza. Un paio di affetti di cui mi posso fidare ciecamente e che amo così tanto da essere disposta a rischiare di soffrire per la loro mancanza.

Ma per una volta ho fatto l’errore di non seguire quello che era il mio obiettivo, i miei sogni e così ho perso la bussola, seguendo una passione che non conoscevo prima, ignota. Come quando ti ritrovi in autostrada e vuoi cambiare la rotta del percorso, perchè spinta dalla curiosità vuoi vedere qualcosa che non conoscevi prima e allora rischi di perderti. E così è stato.

La ho seguita perdutamente questa passione, mentre poi la mente sfoglia le controindicazioni del caso in questione e non esita a mettere in risalto ogni piega assurda con spietata lucidità schiaffandoti il tutto davanti agli occhi realisticamente.

Che forse oggi saresti a vedere tramonti nel deserto invece che porti mille domande sulla tua correttezza e onestà professionale, intellettuale e umana, che alla fine ti frega!

E’ così facile cedere alla tentazione di processarsi senza avvalersi neanche di un avvocato d’ufficio che ci difenda in maniera distratta da noi stessi.

E’ normale che i pensieri e gli stati d’animo, gli accadimenti e le responsabilità si mangino le ore di sonno e ci lascino scampoli di serenità illusoria opacizzati dalla stanchezza. Per non parlare dei muscoli dello stomaco costantemente contratti.

E poi arrivano le voci amiche, e le presenze che ti sostengono e portano in mano uno specchio, per mostraci come siamo e come abbiamo dimenticato temporaneamente di essere.
Forse è bene cominciare a patteggiare con se stessi. Che forse potrebbero esserci gli estremi per un accordo.
Tento solo di applicare razionalità e di fidarmi del mio istinto. Che fino a prova contraria ha portato ad accorgermi che forse ho solo anticipato il tempo di un epilogo, decidendo io i modi dell’uscita di scena una volta tanto.

La Ballata dei SenzaTetto (13)Ci si puo’ augurare di veleggiare in acque finalmente limpide e accarezzate da un deciso sole estivo, e sperare di non scoprirsi di nuovo come relitti infranti nella battigia mescolati impietosamente a quello che resta della spuma del mare…

Minuscole, frammentate e contraddittorie sensazioni da stringere forte al petto, per far si che non trovino la maniera di sgusciare via…
Ho capito che niente nel mio quotidiano avrà un percorso convenzionale perchè per natura ingarbuglio fili, scelgo vie poco praticate, mi discosto dal ragionamento comune, anticipo o sono in ritardo. Certo è che ho un tempismo tutto mio.

Niente è come prima, ma vale sempre questa frase per ogni mio finale:

Anche in un pozzo avrei alzato la testa chiedendomi, risalendo: TEMPI DURI, CHE CI INVENTIAMO ORA?

Al momento non lo so….so solo che riprenderò la strada dei miei sogni e obiettivi, è l’unica cosa che so e posso fare, tenendo fede a me stessa.

Per diverso tempo ho preferito sposare i colori dell’imbrunire, pur non smettendo di sognare briciole scintillanti su di un telo di velluto. Ho innaffiato e vegliato desideri, noncurante delle gelate e delle forti raffiche di vento.

Probabilmente arriverà un mattinale carico di brillanti cromie…
Non si puo’ far altro che attenderlo

Monica Von M.

 

 


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The LAST DAYS of TACHELES: la poetica dell’impercettibile in un momento sospeso tra memoria e storia. INVITO AL DIBATTITO: “TACHELES: simbolo di una Berlino che non esiste più”

Nel giro di lunghi periodi storici,

insieme coi modi complessivi di esistenza delle collettività umane,

si modificano anche i modi e i generi della loro percezione sensoriale…   

“rendere le cose, spazialmente e umanamente, piú vicine è per le masse attuali un’esigenza vivissima””, Walter Benjamin.

 

The Last Days of Tacheles - 2Parlare del Tacheles, raccontare la sua storia, cosa ha rappresentato, può sembrare tanto banale quanto scontato, dal momento che tutti, o quasi, ne hanno sentito parlare, ma così facile in realtà non è.

Allora per iniziare a parlarne mi tornano in mente gli illuminanti e profetici concetti di Walter Benjamin nel suo piccolo ma fondamentale scritto “ L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” (1936), che ha influenzato tutto il novecento, l’analisi e la valutazione della cultura di massa. Un testo ineludibile per ogni fotografo, critico e appassionato di cultura, arte e filosofia, che viene considerato bibbia nelle università.

Benjamin era tra l’altro berlinese, nato a Charlottenburg e se in questi giorni fosse stato vivo avrebbe sicuramente inserito il Tacheles come esempio di studio, quando si interroga  e affronta nel suo saggio la tematica della tendenza alla fluidità sociale dei modelli di consumo culturale, delle opere d’arte, che sotto qualunque forma, si presentano come merci derivanti da un processo di produzione profondamente intriso della dimensione sociale propria della società che le produce.

Nella teoria di Benjamin la soggettività e unicità dell’artista perde il ruolo centrale nel processo di produzione di manufatti estetici. Parallelamente il tessuto culturale diventa più complesso e cresce l’importanza delle modalità tecniche tramite le quali il produttore entra in collegamento con il suo pubblico. I processi di produzione della cultura hanno dunque sempre meno la forma di una fabbrica di epoca industriale. La produzione culturale assomiglia molto di più ad un rumoroso mercato con la sua confusione e per certi aspetti l’esperienza del Tacheles insiste e rimanda a ciò, anche attraverso l’uso delle forme più innovative di arte (come le performance dal vivo) o di materiali innovativi.

Un luogo dove il nuovo contesto sociale, la fruizione dell’opera d’arte sono diventate tanto un’esigenza quanto un’opportunità collettiva. “..rendere le cose, spazialmente e umanamente, piú vicine è per le masse attuali un’esigenza vivissima”,  W.Benjamin

Il Tacheles è stato proprio questo: un’esigenza quanto un’opportunità collettiva.

Il simbolo di quella battaglia che l’arte cerca di portare avanti contro lo sfrenato potere del consumo e del denaro, l’ambiente meno contaminato dalla capitalizzazione, che investe persino il prodotto artistico.

Un luogo in cui nonostante la decadenza della struttura e l’eterogeneità delle opere che essa nel corso degli anni accolse, si è rivelato una parte di mondo dove si è lasciato potere all’ immaginazione, per questo conservando una traccia di bellezza, sempre più progressivamente ferita ed abusata eppure ancora capace di bisbigliare all’uomo la possibilità di opporsi ad una visione del mondo regimentata dall’interesse monetario.

La chiusura del Tacheles, che possa dispiacere o meno, è il sintomo di qualcosa di più ampio e complesso che a Berlino sta avvenendo già da qualche anno e che ha già visto la chiusura di locali e luoghi di ritrovo che nella capitale tedesca hanno fatto cultura, è in ogni modo un momento triste per chi crede che l’arte possa offrire visioni differenti del mondo.

2213143116_2d6e8b53e5_oLa Kunsthaus Tacheles (Casa dell’arte Tacheles) è stata una galleria d’arte moderna berlinese situata in Oranienburger Straße, nel quartiere centrale Mitte. Ricavata dalla demolizione del centro commerciale Friedrichstraßepassage, conosciuto come “la cattedrale del consumo”, fu costruito tra il 1907 e il 1909 e dal 1990, l’edificio è stato fino al 2012 sede di collettivi gestita da artisti.

Nel 1928 la compagnia di strumenti elettronici AEG entrò in possesso dell’edificio e lo utilizzò come “Casa della Tecnologia” per esposizioni e presentazioni commerciali, ma anche cinematografiche. Nel 1936 vi furono trasmessi televisivamente i giochi olimpici, per la prima volta al mondo. Dopo il 1933 i vari spazi dell’edificio cominciarono ad essere utilizzati da varie organizzazioni connesse al nazismo. Con la fondazione della GDR nel 1949 l’edificio fu trasferito in proprietà della trade union FDGB, facente parte della Germania dell’Est. In seguito alla Separazione della Germania e di Berlino, la costruzione rimase vuota salvo che per usi a breve termine, come per l’armata NVA o per la Scuola circense, e comincio ad andare in rovina.

Dopo la caduta del muro nel 1989 a Berlino Est sorse un movimento artistico spontaneo. In particolare nei quartieri centrali Mitte, PrenzlauerBerg e Friedrichshain tale subcultura occupò il vuoto creato dalla scomparsa della GDR. La demolizione finale dell’edificio, prevista per aprile1990, fu evitata grazie all’occupazione promossa dal Gruppo di artisti Tacheles. Grazie al sostegno delle pubbliche istituzioni la sopravvivenza dell’edificio fu poi ulteriormente garantita, e, dopo un’ulteriore ispezione, l’edificio fu considerato parte del Patrimonio monumentale nazionale. Nel 1998 la compagnia di investimenti FUNDUS ha comprato l’edificio sotto la condizione che il Tacheles potesse continuare ad esistere quale luogo storico e culturale. Fu stabilito di conseguenza un affitto simbolico di un marco tedesco al mese. Nel 2000-02 la costruzione fu restaurata, seguendo una procedura architettonica che ha posto in contrasto lo stile decadente delle rovine con elementi contemporanei e tecnologici.

Il Tacheles riceveva in media ogni anno 500.000 visitatori da ogni parte del pianeta. Molti di questi venivano appositamente perché questo insolito nome era citato tra i punti di interesse delle loro guide turistiche, così come si trova il MOMA tra quelli delle guide di New York o il Louvre per Parigi.

1491754_622010054554054_7450445799529749968_nÉ indubbio che ci sono poi stati esperti, registi, giornalisti e persone che vivono a Berlino, o che ci hanno vissuto abbastanza per farsi un parere, che hanno ribadito varie volte che il Tacheles era oramai cambiato negli ultimi anni, diventando molto diverso dal mito che in molti ricordano, una mera attrazione turistica e quindi meritevole di essere disperso. La data ufficiale della chiusura e sgombero è così avvenuta il il 4 settembre del 2012.

Tra questi registi ce ne è anche uno italiano, Stefano Casertano, che vive da tempo a Berlino e che ha proprio voluto approfondire questa vicenda, vivendo a fianco degli artisti prima della chiusura per quasi un anno. Ha prodotto e realizzato così un docu-drama, The last days of Tacheles, come lo definisce lui, in quanto non è un documentario su cosa è stato il Tacheles, o un’inchiesta, ma un racconto cinematografico sugli ultimi giorni di questa galleria, ma soprattutto sulle emozioni che gli artisti hanno vissuto.

Nonostante Casertano abbia un background giornalistico-accademico, che lo avrebbe potuto portare ad avere un occhio critico-analitico sulla vicenda, e raccontarla dal punto di vista sociologico, storico e politico si discosta notevolmente in questo suo lavoro nell’ affrontare la tematica.

Da una più attenta analisi del racconto, invece, ci si accorge chiaramente che l’interesse del regista marcia in un’altra direzione. L’attenzione è volta a scoprire e a comprendere l’atteggiamento interiore, le motivazioni profonde, lo spirito di questa gente, i valori che sottostanno al loro comportamento e alla loro vita., concentrandosi sulla poesia dei gesti e dei volti degli artisti, le loro inquietudini, paure e il contesto dove la loro anima viene prosciugata.

Un linguaggio dove l’uomo è al centro del racconto e tale narrare, mostra così i più piccoli particolari delle espressioni, carica di significati i gesti più consueti e indifferenti, conferisce un valore agli oggetti più comuni e più umili, ricordandoci il rispetto profondo per l’uomo e la sua dignità, soprattutto nella parte finale quando ci mostra lo sgombero e lo strazio di alcuni artisti nei confronti di esso, verso la totale distruzione di un mondo che non esiste più, in cui loro hanno creduto e dedicato speranze e sogni per anni.

Una poetica dell’ impercettibile che si annida nello sguardo sulle cose, in un momento sospeso tra memoria e storia.

Non ritengo che il Tacheles sarà menzionato nei libri di storia dell’arte, in quanto non ha prodotto nessuna opera d’arte significativa o grande artista e sappiamo senza ipocrisie che i luoghi dove l’arte fa business sono ben altrove, rimarrà però sempre nell’immaginario come esperimento di potere dell’immaginazione comune ed evocativo dell’arte.

Certo è però assurdo pensare che in quel luogo dove circa un secolo fa in Oranienburger Straße nacque un “centro del consumo” potrebbe rinascerne un altro , in quanto pare sia stato messo in vendita per una base d’asta di 200 milioni di euro, per essere realizzati in futuro appartamenti di lusso, uffici e negozi.

In fondo aveva ragione W. Benjamin; sosteneva che ““nel giro di lunghi periodi storici, insieme coi modi complessivi di esistenza delle collettività umane, si modificano anche i modi e i generi della loro percezione sensoriale…”, e quello che è successo al Tacheles e sta accadendo alla città sono il simbolo di un processo storico in cui si è modificata la percezione della politica culturale berlinese agli occhi della collettività: la monetizzazione sta forse vincendo a discapito della cultura?

Non esiste più una collettività umana oggi che crede in quella frase che pronunciò il sindaco e senatore della cultura Klaus Wowereit nel 2004, definendo Berlino “povera ma sexy” e ci siamo forse stancati di questa città così alternativa ?

Se la risposta è SI in fondo è facile capirne anche il perchè.

Monica Manganelli

Invito_EventoASCTACHELES: simbolo di una Berlino che non esiste più” promosso dall’ A.S.C. Cinecittà (associazione nazionale scenografi e costumisti) e dal MIBAC (Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo ).

Proiezione del docu-drama: THE LAST DAYS OF TACHELES del regista e produttore Stefano Casertano, interverranno il regista e Zuleika Munizza, responsabile del progetto di ricerca Berlino Explorer, che racconta Bla città attraverso la sua storia e le sue trasformazioni dal punto di vista architettonico, artistico e sociale.
3 luglio, ore 18 presso la CASA DEL CINEMA, Sala Deluxe

Largo Marcello Mastroianni, 1, 00197 Roma, Italia

http://www.tachelesmovie.com

http://www.berlino-explorer.com

http://www.aesseci.org


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HORRIBLE FAKE OF BEAUTY: FIRST KISS video is a shame and BIG FAKE!!

If you opened Facebook in these days, you almost certainly saw a video called “First Kiss” by Tatia Pllieva. Today I will write something that nobody will want to hear, but it’s  true.

These days for serious personal problems I didn’t  want and I have not linked to social, but all the people I heard to  talk about this. Then I saw this video.

I really don’t understand the success of this video.

This video is simply a BIG FAKE, mixed with a good cinematography  (really not so special but already seen into many commercial spot) and strangers chosen not so randomly (perfect people like models of Calvin Klein!)

But what have you seen so special on this images? we humans are not robots. I do not see anything innovative in the message that she wanted to convey, it’s simply a GREAT TRUMAN SHOW.

The premise is that total strangers meet in a room and are instructed to make out, while we watch like a couple of sick freaks. No less than four people shared it on my newsfeed with captions along the lines of “beautiful” or “stunning.” I watched it and thought why? Am I robot with no feelings? Can I be taught to love?

“Am I seriously the only curmudgeon in America who thinks this is super creepy and not some beautiful example of human connection transcending all? This whole thing seems kind of forced and gross, but I guess a contrived human connection still counts?”

I think this video simply expresses what is today’s society: a big fake and especially in human relationships.

In a society where human relationships are reduced to pure formality and cynicism, instead It would not have been more provocative to seize the moments of passionate kisses between people who love each other?

Or hearing  the story and the thrill of the first kiss that several couples have exchanged in their love stories?

This video let me think about what has happened to me in these days and I HAVE NO DOUBT I PREFER THE AUTHENTICIY OF EMOTION.

I am a great observer and when I walk on the street  and couples are kissing passionately they move me; you can see a real feeling!

What do you think?


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ME and MY WORK: genesis of a professional career, “Let oneself be involved emotionally.”

ME and MY WORK: genesis of a professional career, “Let oneself be involved emotionally.”

NOTHING IS IMPOSSIBLE, THE POWER OF ONE for the ALL.

“By striving to do the impossible, man has always achieved what is possible. Those who have cautiously done no more than they believed possible have never taken a single step forward”, Mikhail Bakunin.

PalazzoDuca_Variante2_Festa

  Rigoletto – Beijing Music Festival

With this new editorial I want to thank the people who gave me words of appreciation about the blog ,from all over the world. Now this is an ideal second part of the Manifesto of Independent Revolution: a confession about my ideals and motivations that lead me in my life and professional goals.

I have already written in my language, Italian, an important article about that, and I’ll try again to retransmit the same emotions. An article that many people and friends appreciated for its touching inspiration e motivational thoughts.

I am not able to separate the work by what I really love. I always try to find human and creative experiences where the ‘man is always the protagonist, even when there is not.

I love the “wow effect” that disorients the viewer and slows the heart of thoughts, something that invites you to linger to observe. Seeking a spiritual side in what I create and live, that moment suspended and impalpable in which things happen.

– “I JUST WANT TO BE PERFECT” – “Perfection is not just about control. Also it’s about letting go. ”

When I heard these words moved me to tears .When I saw for the first time the movie by Darren Aronofsky, BLACK SWAN starring Natalie Portman, they reminded me about the great and unique teaching that gave me my “Master” when I started working in theater and opera. Anyone of my friens knows what were the first 10 years of my professional career, a hard apprenticeship, in a closed world and extremely sexist.

My first boss taught me one thing that has been central to my personal and professional growth: Perfection is not only in control. It ‘also let go. The only way to fully understand this work, the artistic and creative (but not only) is to be carried away, get emotionally involved. Making sure that the fears, uncertainties, have an influence in your feeling, and so admire those moments of perfection so that you receive only in a full emotional involvement.

Bozzetto 1

Aci Galatea e Polifemo, Haendel, Regio Turin Opera House

Starting from that point in the past, when I started to let myself go, I realized that the only obstacle between us and the success we’re just ourselves. Since that time I have not had more obstacles and the road is open in front to me.

TENACITY and COURAGE has always been my magic words and feelings that have always characterized me. I always thought that a career is built on the sacrifices and no selection. I never chose to do a job for money or anything, but only because I considered it important for my professional growth. I think courage is something that comes from the strength you have inside, from inner conviction and love for life, never separated from the awareness and trust in their actions.

Then I realized that the INITIATIVE  is THE SOUL OF MY LIFE: I’ve always really wanted and created every opportunity of work. For example, when I worked for the movie Cloud Atlas, I wrote to the producer by facebook.

During my career experiences around the world I’ve seen many talents but who achieved success they had something more, not only technically.

Many young people write me with words of appreciation about my career and ask for advice, then I answser them: “We can be good technically, but the difference is your heart and inner motivations and thinking big and impossible goals”.

Cloud-Atlas (1a)

Cloud Atlas

I am happy to be a good example to many people. Many friends call me the motivator.

Then I believe in a leader who focuses on the moral qualities. I believe Kindness is necessary quality that denotes a remarkable awareness and superiority. I believe in a leader that knows how to capture and optimize the potential of each, and that knows how to inspire people with enthusiasm and mutual trust.

So thanks to the DREAMERS beacause they try every day to create unknown languages, they imagine from nothing new goals, a bit ‘crazy and sometimes uncomfortable.

But without their imagination what will be our dreams? I’m a Dreamer and I’m so proud of that.


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IO e il MIO LAVORO: genesi di una carriera professionale: “Lasciatevi violentare, emotivamente”.

“Lasciatevi violentare, emotivamente” di Monica Manganelli.

Non sono capace di separare il lavoro da ció che realmente mi interessa. Nelle esperienze umane e creative che cerco, l’ uomo è sempre protagonista, anche quando non c’è. Amo il “wow effect” che disorienta l´osservatore e rallenta il battito dei pensieri,  quel qualcosa che invita a indugiare nell´osservare. Cerco un lato spirituale in quello che creo e vivo, quel momento sospeso e impalpabile in cui le cose accadono.

– “I JUST WANT TO BE PERFECT”, -“Perfection is not just about control. It’s also about letting go.”

Bozzetto 1

 Aci Galatea e Polifemo – Teatro Regio Torino

Quando sentii queste parole mi commossero alle lacrime quando vidi per la prima volta il film di Darren Aronofsky , BLACK SWAN con Natalie Portman. Mi ricordarono il grande e unico insegnamento che mi diede il mio “maestro” quando ho iniziato a lavorare in teatro e nella lirica. Chi mi conosce sa cosa sono stati i miei primi 10 anni di carriera professionale, una gavetta durissima, in un mondo chiuso ed estremamente maschilista.

Però devo ammettere che nonostante il mio maestro fosse la persona più negativa che abbia mai incontrato nella mia vita, (di cui fui assistente e lavorai al suo fianco quasi 8 anni), mi ha insegnato una cosa che è stata fondamentale per la mia crescita umana e professionale: La perfezione non sta solo nel controllo. E’ anche lasciarsi andare. L’unico modo per capire a pieno questo lavoro, quello artistico-creativo (ma non solo!) è quello di lasciarsi trascinare, lasciarsi coinvolgere emotivamente. Fare in modo che le paure, le incertezze, si ripercuotano nella vostra sensibilità, ed ammirare così quei momenti di perfezione che percepirete così unicamente in un pieno coinvolgimento emotivo.

Ero una bambina estremamente timida, nonostante questo fin da veramente piccola ho sempre saputo cosa volevo dalla vita e dove volevo arrivare, quindi venendo dal nulla, nel crescere puntai tutto sulla ricerca estrema della perfezione tecnica in maniera davvero maniacale.

Ricordo ancora un professore delle scuole superiori che diceva sempre a mia madre: “non so che dire perché è talmente perfetta tecnicamente che non gli si può dire nulla ma non tira fuori quello che ha dentro e mi fa rabbia”…lo stesso fu quando iniziai a lavorare, tanto che pochi giorni fa ho ritrovato proprio un biglietto del mio maestro dopo un anno di lavoro con lui, che diceva “nonostante non sia una persona facile e le mie sgridate devo riconoscerti una disciplina e tenacia estrema che spero continuerai a coltivare, tecnicamente non posso rimproverarti nulla ma ti manca il lasciarti andare emotivamente e in questo lavoro è fondamentale”.

Da quel momento, quello in cui mi lasciai andare, ho capito che l’unico ostacolo fra noi  e il successo siamo solo noi stessi. Da quel momento non ho avuto più ostacoli e la strada si è aperta davanti a me.

TENACIA E CORAGGIO sono state le mie parole magiche e sentimenti che mi hanno sempre caratterizzato e lo sono tutt’ora. Ho sempre pensato che una carriera si costruisce sui sacrifici e i no. Non ho mai scelto di accettatare un lavoro per soldi o altro, ma solo perché credevo al progetto a cui partecipavo  o lo ritenevo importante per la mia crescita professionale. Credo che il coraggio è qualcosa che nasce dalla forza che uno ha dentro, da una convinzione interiore e dall’amore per la vita, mai disgiunto dalla consapevolezza e dalla fiducia nelle proprie azioni.

Bozzetto2

 Samson et Dalila – Teatro Comunale Bologna

Tante volte ad un certo punto in cui ho vissuto per tanti anni la mia passione come un gesto d’amore assoluto, tante volte mi sono posta questa domanda, ed era sempre la stessa..”Chi me lo fa fare?” ma allo stesso modo come la domanda era sempre la stessa, lo stesso valeva per la risposta , era sempre identica: “Chi me lo fa fare?” E io risponedevo “Un desiderio impellente, che non mi ha mai abbandonato neanche quando tutto sembrava perduto”. Altre risposte proprio non mi son mai venute.

Ci sono molti ragazzi che gli ultimi anni mi hanno scritto dopo il lavoro in Cina e Cloud Atlas e tutti mi chiedono consigli e ricaricano con parole di stima ma dalle loro parole spesso noto una caratteristica comune: il dimenticarsi della parola SACRIFICIO. Un discorso a cui tengo molto e di cui parlavamo poco tempo fa con un caro amico. Credo che la parola sacrificio sia la prima delle tante incluse nelle qualità di un TALENTO.

I miei 10 anni di cosiddetta gavetta, chi mi conosce sa che non auguro neanche al mio peggior nemico, hanno voluto dire fare una scelta di vita. Questo lavoro richiede disciplina e impegno (ma ritengo come qualsiasi altro se si vuole arrivare ad essere i migliori) e ha voluto dire scegliere di non fare una vita “normale”: passare a volte  il giorno di Natale e Capodanno, i sabati e domeniche a esaudire le richieste di registi alle 4 di notte (perché non so come mai ma le idee migliori arrivano sempre a quella ora!!), essere pronti a prendere un aereo il giorno dopo senza avvisi, trovarsi in stanze d’albergo da soli dall’altra parte del mondo magari dopo che in palcoscenico eri stata umiliata davanti a tutti e senza nessuno che ti difendesse, o che la “amica del capo” (chiamiamola così) di turno si era presa gli onori per te, tutto questo invece di uscire con gli amici o fidanzati (che non c’erano ovviamente) o divertirsi altrove.

Senza contare che i primi anni in concomitanza ho fatto mille lavori, ma il mio obiettivo era sempre solo uno e non me lo dimenticavo. Ho visto cose che davvero voi umani non immaginate neppure! Il mondo dello spettacolo non è per nulla facile e la sete di potere dilaga in ogni dove. Non lo rinnego e non rimpiango assolutamente il passato,  anzi non sarei dove sono ora, sicuramente però non giustifico il modo tiranno che una certa vecchia scuola aveva e ancora ha nei confronti degli assistenti e collaboratori vari. Fortunatamente da certe dinamiche “sporche” non mi sono mai fatta forviare, erano solo perdite di tempo al raggiungimento del mio obiettivo e non di certo in linea coi miei valori, me ne sono sempre “infischiata”, e ho sempre ritenuto la mia carta vincente puntare su serietà e professionalità.

Non è scritto da nessuna parte che si debba essere despoti per ottenere un risultato. Io credo tutto il contrario, esigenti si (lo sono molto in maniera estrema con chi lavora con me) ma  credo nelle qualità morali di un leader e nel suo carisma ed entusiasmo positivo, nell’incitamento e capacità di tirare fuori il meglio da ogni componente della sua squadra stimolandolo. La gentilezza è qualità necessaria che denota una consapevolezza e superiorità notevole.

Ma credo anche che quella vecchia scuola di maestri, che ancora esiste (perché purtroppo non ce la togliamo in nessun modo in tutti i campi, dalla politica all’università ecc) si rifugi in atteggiamenti tirannici e despoti solamente per PAURA, la paura di perdere POTERE, quindi inevitabilmente non ci si apre al nuovo e non gli si concede la possibilità di esprimersi.

Cloud-Atlas

Cloud Atlas

Questo ho capito era quello di cui aveva paura il mio maestro: il momento che me ne sarei andata e non voleva che succedesse. Ma c’è stato un momento preciso, causa una ennesima delusione e mancanza di fiducia reciproca che venne a mancare tra noi, di cui ricordo data e anno, che mi fece capire che era il momento di chiudere definitivamente. Davanti a me avevo il nulla totale, non sapevo o avevo idea che avrei fatto, ma è come un amore, gli avevo dedicato 10 anni della mia vita e non avevo ricevuto nulla in cambio, ero delusa e non c’erano più le possibilità di continuare e ne ero consapevole, non era stato un rapporto alla pari. Decisi di tagliare definitivamente nonostante avrei rischiato di fare chi lo sa tutt’altro che il mio mestiere.

Ma era  arrivato il momento per assecondare istinto e aspirazioni senza paure e non mi interessava se avevo davanti a me il vuoto; sapevo che avevo perseguito con coerenza i miei obiettivi e che in qualche modo avrei proseguito e se non ero mai scesa a compromessi prima non l’avrei fatto di certo dopo.

Quindi capii che l’INTRAPRENDENZA sarebbe stata L’ANIMA DELLA MIA PARABOLA: avrei consumato molte scarpe, avrei vinto e avrei perso, sarei andata all’attacco e mi sarei difesa, avrei pagato il prezzo delle mie partite, ma soprattutto, soprattutto non sarei mai stata in panchina.

Anche in un pozzo avrei alzato la testa chiedendomi, risalendo: TEMPI DURI, CHE CI INVENTIAMO ORA?”

Così è stato! Mi concessi 6 mesi per viaggiare, vedere cosa succedeva nei teatri stranieri, nelle metropoli, conoscere persone, mostre, stimoli culturali ecc..così arrivò, senza che me lo aspettassi, la chiamata da quello che considero il miglior teatro al mondo, Le Monnaie a Bruxelles, mi accolsero per propormi una offerta di lavoro strepitosa. Subito pensai “cavoli ho l’opportunità di dimostrare subito a quel teatro e certo ambiente italiano che mi aveva tradito che cosa si erano persi e poi in quello che considero il massimo luogo di eccellenza teatrale”…tutto sembrava perfetto però mi guardai dentro onestamente e capii che era solo rivalsa e che dovevo andare oltre, non era quello che mi interessava più. Quindi dissi di no perché volevo provare cose nuove e sentirmi viva per nuovi stimoli. Per molto tempo non entrai più in un teatro, avevo chiuso e così fu, ma dissi solo tra me e me che “un giorno si sarei tornata a lavorare in teatro ma solo se ne valeva la pena e per un progetto grandioso dove avrei messo la firma”.

Nell’arco di qualche giorno, orgogliosa del mio no a Bruxelles, ricevetti un’altra chiamata che mi permise di entrare nel mondo della scenografia virtuale e creatività nell’ambito del cinema e pubblicità. Nuovi scenari si aprivano. In fondo il cinema fin da quando ero bambina era sempre stato il mio sogno, il teatro solo un passaggio ma necessario per imparare il mestiere.

Dopo neanche 7 mesi nel nuovo ambito di lavoro mi sono ulteriormente “buttata” e come sapete arrivò l’occasione di Cloud Atlas a Berlino, da li non mi sono più fermata, 4 anni dove ho lavorato soprattutto all’estero (moda, cinema, pubblicità), perché nel frattempo la rabbia che un paese come l’Italia non riuscisse a farmi esprimere e lavorare rimaneva forte.

E così poi  ti ritrovi in silenzio a stilare privati bilanci di vita conscia del fatto che mancano sempre voci decisive, nonostante le esperienze fatte, i lavori affrontati, le professionalità accumulate, le referenze affastellate con successo illo tempore… gli inciampi che hanno permesso di crescere, gli attestati di stima collezionati su più fronti. Questi 4 anni si sono conclusi con l’esperienza della Cina (ottobre 2013), dove sono ritornata in teatro, mettendo la firma e unendo un concetto di teatro classico con la scenografia cinematografica virtuale, di più non potevo sperare.

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Traviata – Beijing Music Festival

Dopo questi 4 anni però capii che un altro ciclo di vita, umana e professionale era finita. Non potevo più tornare indietro, ma solo andare avanti, dovevo e potevo aspirare di più, quindi i no avrebbero dovuti essere ancora più severi. Soprattutto ora non ero più disposta a sacrificare certe parti della mia vita privata e le qualità morali delle persone con cui avrei voluto lavorare dovevano essere allo stesso livello di quelle professionali. Volevo conoscere e vedere lavorare un numero uno vero, un leader che mi permettesse di esprimere al meglio la mia creatività.

Mi dissi quindi che era arrivato il momento di rischiare ulteriormente e far uscire tutte le mie potenzialità e mi sentivo finalmente pronta di dire la mia sotto tutti i punti di vista.

Decisi che se entro la fine dell’anno non avessi trovato nuovi stimoli ero disposta a cambiare mestiere, perché credevo talmente nelle mie potenzialità che non ero disposta più a regalarle se non c’erano progetti che ritenevo all’altezza. Ricevetti due proposte che mi avrebbero ricoperto d’oro da qui ai prossimi 5 anni, da persone che però non ritenevo propriamente “adatte” e rifiutai, perché sentivo che non mi convincevano.

Non sia mai che prima di Natale ho ricevuto la chiamata che mi ha cambiato la vita, ho conosciuto un leader vero che mi ha dato e sta dando fiducia e la possibilità di lavorare al massimo livello. Quando ci siamo incontrati la prima volta lui mi disse “io voglio scalare l’Everest e tu?”, io risposi “L’Everest? No è troppo facile io voglio arrivare sulla Luna”, da qui è nato il nostro sodalizio e spero prosegua per un po’.

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  Traviata – Beijing Music Festival

Inoltre con l’inizio dell’anno ho scoperto che esistono emozioni autentiche. Sensibilità gemelle che si sfiorano. E quando riconosci questi emisferi per osmosi ti arricchisci. Inevitabilmente. Perché ci sono sguardi che colgono essenze  da lontano, in silenzio. Parole che scavano dentro e che sprigionano colori e sensazioni inattese, non contemplate. Questo sarà quello su cui voglio puntare e rischiare ora per il mio futuro.

Come finale mi piace citare questa frase che per quanto sembri utopistica e pazza mi rappresenta pienamente nei miei deliri in cui il mio sogno sembra lì a portata di mano…anche se forse è ancora molto lontano, ma comunque sento che la strada intrapresa da percorre è giusta:

“E’ ricercando l’impossibile che l’uomo ha sempre realizzato il possibile. Coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che appariva loro come possibile, non hanno mai avanzato di un solo passo.” Bakunin..

Il mio totem, che mi assegnarono quasi 20 anni fa (avevo 16 anni) , è “Donnola Sorridente”,  qualcuno mi scrisse “la tua voglia di ricominciare ti servirà nella vita” e così fu!

Monica Manganelli


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Why INDEPENDENT REVOLUTION?

1“Tutte le storie hanno un inizio che il più delle volte è difficile da interpretare, difficile da decifrare. In poche parole, tutti gli inizi sono un’incognita, ma come tutte le incognite rappresentano una sfida continua, uno stimolo costante per riuscire a dare sempre il meglio, nella consapevolezza che dare il meglio, spesso, non è sufficiente.” (Antonio B.)

Con queste motivazioni nasce INDEPENDENT REVOLUTION: un blog o meglio dei Cahiers d’ Art, una community virtuale dove si incontrano diverse forme di arte, creatività e artisti. Una “semplice” provocazione che stimoli il vostro senso estetico, visivo ed emotivo. Perchè l’estetica, come la matematica, non è un’opinione.

Quindi perchè la scelta di due parole come INDEPENDENT e REVOLUTION? INDEPENDENT per ribadire l’indipendenza di pensiero, condizione necessaria per le menti curiose e aperte verso nuovi orizzonti.
REVOLUTION perchè ho la “presunzione” di innescare negli altri una rivoluzione attraverso il concetto di bello.

“All stories have a beginning that most of the times it is difficult to interpret, difficult to decipher. Simply put, all beginnings are unknown, but like all the unknowns are a continuing challenge, a constant stimulus to be able to give always the best, in the knowledge that give the best often is not enough. “(Anthony B.)

For these reasons, comes INDEPENDENT REVOLUTION: a blog or better Cahiers d ‘Art, a virtual community where you will meet different forms of art, creativity and artists. A “simple” challenge that stimulates your sense of aesthetics, visual and emotional. Because aesthetics, such as mathematics, is not an opinion.So why the choice of two words as INDEPENDENT and REVOLUTION? INDEPENDENT to emphasize the independence of thought, a necessary condition for the curious and open minds to new horizons.
REVOLUTION because I have the “presumption” of triggering a revolution in the other through the concept of beauty.


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Manifesto of Independent Revolution

Studio culture: a way of life Studio life is quite unique. So much has been written on this subject by so many over so much time; which I guess reflects that studio cultures change every decade or so, diven by change in the world.

Working in many studios over the years has allowed me the amazing opportunity to work with some awesome designers. During that time it has become evident that studio culture is based on common beliefs that bind and unite all in a common goal. Studio life is quite unique; it’s a place you come to exchange ideas and to learn every day. (I learn something everyday.)

When I left university, wide-eyed and full of enthusiasm to change the world like so many other designers before me (very lofty), it become quit apparent change was brought about through perseverance and belief in yourself and others, while failure was part of that learning curve. Believing in something is the first step to change. A studio is a reflection of a company’s ability to believe in its people, allowing a common thread to develop while nurturing and recognizing them beyond normal daily tasks. Studio culture is only as strong as the foundations upon which it stands. People need to believe you, they need to feel change and buy into what you’re offering. This doesn’t mean long speeches about “what’s next” or words on the wall. Studio culture is a measure of a company’s ability to understand employee engagement, how to fufill each individual’s need across the business and allow them to be more fulfilled in their roles. It’s not rocket science to run a successful company whether big or small, but fundamental mistakes happen again and again due to lack of understanding of people and their needs. You can’t force culture in the workplace; it comes naturally when companies find the right balance. (Balance of pay, structure, process, and growth.)

These are things we all expect. Companies forget we’re human and our needs include ownership, encouragement, opportunity, and recognition. Our daily routines should reflect this, allowing culture to flourish. After all, companies can’t exist without good people. Any company who thinks otherwise is doomed to fail. Creative people are all very different, so you can’t treat them all the same. Each has his or her characteristics that make them unique, each bring their own set of skills to the table. A creative studio should be a place you take risks. This is also called being a Type-T personality. According to the snowflake model, (developed by Harvard University) creatives who work at the edge of their competence, the place where failure lurks, are more likely to produce amazing creative work.

Taking risks might sound risky to some people, but it should be a core element of a creative’s life to push beyond that comfort zone when creating work. Studio life should allow this to happen without the fear of failure, which should instead should be celebrated and encouraged in pursuit of furthuring the ability to think and feel far beyond the norm. Three different aspects, each of which is required for successful creativity are: Curiosity Failing as part of the creative quest Learning from that failure Most psychologists see genius as inseparable from failure. Society believes that artist/designers have always been successful, contrary to popular impression. After all is said, don’t wait for things to happen; go out and do the culture thing yourself. This breeds confidence within an organization. Don’t ask permission, ask forgiveness.